Carissimi,
Vi ripropongo questa intervista, scritta dalla giornalista Roberta Piliego nel 2007 per il portale di medicina naturale Auraweb (oggi non più attivo). L’ho ritrovata recentemente tra i miei files e poichè la ritengo ben fatta e sempre attuale ho pensato di condividerla con voi.
La malattia come peso dell’anima
Incontro con Antonio Fassina
di Roberta Piliego
“Stavo studiando Ayurveda e trovai una storia che mi sembrò
illuminante. Quello che fu uno dei maggiori medici dell’antichità, stava
seguendo le lezioni del suo Maestro. Questi mandò tutti gli allievi in cima
ad una collina con il compito di riportare ciò che, secondo loro, poteva
avere una valenza terapeutica. Tutti tornarono con grandi fasci di erbe.
Solo lui tornò a mani vuote. Quando il Maestro gliene chiese la ragione lui
rispose: “Avrei dovuto portare tutto”. Ecco, io sono così. Per me ogni
cosa è terapeutica. Basta saperlo.”
Antonio Fassina
Medico con specializzazione in ortopedia e traumatologia, medico olistico e medico dell’anima. Quante medicine esistono e in quale figura di medico si riconosce?
Esiste un solo tipo di medicina, ed è quella che rispetta l’Uomo cercando di interpretare il sintomo-messaggio che il nostro sistema non ha altri modi di inviarci se non quello del disagio fisico e/o comportamentale. In quest’ottica, tutto ciò che ci aiuta a star bene è una medicina. E come diceva quell’allievo indiano, il cui nome era Jivaka e che diventò uno dei più grandi medici ayurvedici di tutti i tempi, tutto vibra e quindi tutto può curare.
Omeopatia, medicina vibrazionale, ayurveda, utilizzo dei suoni, lettura e recitazione di testi sacri, sciamanesimo e psicomagia. Sono solo alcuni dei molti saperi che lei ha investigato. Cosa l’ha spinta ad affrontare questo percorso tra le “molte medicine”?
Fin da bambino ho sempre avvertito una forte attrazione verso il lato nascosto delle cose, smontavo la macchinina per vedere cosa c’era dentro che la faceva muovere. E’ lo stesso impulso che ho poi sempre applicato nella vita e nella professione. Non mi sono mai accontentato delle spiegazioni ufficiali, le ho sempre volute controllare con i miei metodi e i miei parametri, e così facendo mi sono forzato ad avventurarmi in terreni sconosciuti, la cui esplorazione mi ha ogni volta arricchito con nuovo sapere. Mi sento in fondo un po’ un Ulisse della medicina, uno che vuol conoscere ed esplorare. Ho attraversato i mari di tutte le medicine alternative, provandole in primis su di me e poi sui pazienti e ho potuto così classificarle in base al loro effettivo impatto sulla salute di chi soffre.
L’offerta di “metodi di guarigione” e “terapie per la crescita personale” non è mai stata così ricca ed accessibile. Questa grande opportunità si è però anche prestata ad essere un terreno fertile per le scorribande di falsi maestri e faccendieri dello spirito. Un triste luna park da cui molta gente è uscita pesta e confusa, oltre che alleggerita nel portafoglio.
E’ triste ammetterlo, ma è vero. Già Gesù metteva in guardia – ai suoi tempi – dalla figura del falso maestro. I falsi maestri sono coloro che nascondono dietro ai loro bei discorsi, all’apparente disponibilità e ad uno stile di vita umile e dimesso, il proprio smisurato desiderio di manipolazione, frutto di un ego malato. Si tratta di persone che anche se parlano di Dio, anche se pregano e vanno a Messa tutti i giorni, in realtà adorano degli idoli, sempre gli stessi, immutati nel corso dei millenni, che si chiamano potere, denaro e successo.
Qual è il limite che lei oggi riconosce alla medicina allopatica?
L’ostinazione, la caparbietà. Il voler aver sempre ragione in tutto, anche quando non riesce ad ottenere risultati. L’umiltà è indispensabile per crescere e la medicina allopatica ha le stampelle quando cerca di progredire solo con il metodo del controllo affidato alle macchine e agli esami di laboratorio. Ma come si fa a non accettare che l’uomo abbia anche una mente e un’anima? A parte questo, sul piano puramente fisico non posso non riconoscere i progressi della scienza. E accetto certi farmaci che possono salvare una vita. Semmai dico che non bisognerebbe mai arrivare a trascurarsi tanto da aver poi bisogno di un intervento d’urgenza. Insomma, prevenire è meglio che curare.
Cosa significa e cosa comporta “andare alla radice delle cose”?
Per il medico significa aver il coraggio di guardare “oltre”, di abbandonare gli schemi che possono andar bene al meccanico che deve aggiustare un’automobile, ma non al terapeuta che ha di fronte esseri unici, ognuno con un proprio sentire e un proprio pensare. Per il paziente significa avere il coraggio di guardarsi dentro, di smetterla di fare lo struzzo e cercare nel proprio passato le vere cause del suo star male oggi. Per entrambi può essere un processo doloroso che comporta lo sgretolarsi di strutture sulle quali era stato edificato un castello di credenze false, indispensabili per “vegetare” nel sistema, ma che alla lunga si rivelano nella loro inconsistenza e non riescono più a illuminarci il tragitto dell’esistenza.
Cercando la medicina, lei ha percorso e indagato diversi angoli del pianeta. Ha avuto così modo di arricchirsi di contributi appartenenti a tradizioni culturali molto diverse e lontane tra loro, nello spazio e nel tempo. Nepal, Tibet, India, Perù, Bolivia, Cile, ma anche Stati Uniti d’America ed Europa. Quale filo lega questo suo lungo viaggio?
Fondamentalmente la ricerca. La ricerca di un sapere perduto, quello antico dei popoli, quello delle medicine tradizionali, degli indios, dei curanderos, degli sciamani che esistono in ogni latitudine. La ricerca delle terapie strane, quelle che per molti dalla mente razionale sono solo superstizione, ma per chi sa “vedere” sono invece condensati di saggezza.
Esistono punti di contatto, e forse anche di arrivo, tra questi diversi approcci e proposte terapeutiche?
Il punto di incontro che unisce in un continuum tematico sommerso le diverse forme di terapia, è la presenza in ognuna di esse del Vento Cosmico, quello che in oriente chiamano Buddhi e da noi Spirito Santo. Ogni terapia è pervasa, in modi diversi, da quest’Energia sacra, che le conferisce specifiche e differenziate attività. Ci sono terapie più grossolane e altre più sottili, ma ognuna possiede in sé una parte di Divino capace di entrare in risonanza, su piani diversi, con le varie sfumature di veleno che la nostra mente è stata in grado di produrre e di riversarci addosso. Soffrire è in fondo esprimere un tormento interiore, far vedere a noi stessi quanto poco ci vogliamo bene, quanto siamo capaci di odiarci. Inconsapevoli del fatto che la vendetta che avremmo voluto agire su altri in realtà l’abbiamo rovesciata su noi stessi.
Cosa intende per “malattia spirituale”?
E’ impossibile a questo punto – se vogliamo continuare – non far ricorso ad una visione orientale della vita, perché è la sola che ci consente delle risposte. La malattia spirituale è qualcosa che è già presente alla nascita e in questo senso tutti noi esseri umani siamo dei malati spirituali. Il malessere dell’individuo, o la vera e propria malattia quando presente, è profondamente inciso nel DNA, dove i geni altro non sono che l’espressione sul piano fisico del karma del soggetto.
Karma vuol dire azione, che la nostra mente ci obbliga a compiere contro noi stessi. La mente per l’orientale è come una casa con due stanze, una è l’archivio di tutto ciò che viene dalle vite passate e l’altra archivio di quello che ci è successo dalla nascita ad oggi. Questa seconda mente, quella recente – per così dire – per sua natura scarica le proprie tensioni solo in due direzioni, verso il piano fisico (energia psico-somatica) o sui comportamenti (energia psico-comportamentale). Ma è profondamente influenzata dalla prima mente, quella delle vite passate, dove risiedono registrati i ricordi dei nostri errori più antichi.
Ascoltandola ho la sensazione che la frontiera lungo la quale si delinea la malattia e la guarigione risieda nella consapevolezza. O meglio, nell’essere o non essere nella consapevolezza.
Riconoscere di soffrire per i nostri comportamenti sbagliati di un’altra vita, di cui oggi paghiamo il prezzo, significa già essere nella consapevolezza. Ma ad essa si arriva spesso solo attraverso la sofferenza, che è l’unico modo di crescere sul piano spirituale. Dopo una prima fase di imprecazioni e di disperazione per la malattia che ci ha colpito, dopo le cure frenetiche che spesso non danno risultati, subentra una fase di riflessione e di accettazione. E se la malattia è importante si comincia a pensare al mistero della morte, all’aldilà e al Divino. E a questo punto può succedere anche il miracolo, cioè che la malattia guarisca, perché quando la lezione viene capita non si ha più bisogno di viverla.
Dall’ortopedia all’anima, dall’arto ingessato allo studio frequenziale di un’emozione. La sua visione della medicina sembra rivolgere il proprio sguardo verso piani sempre più sottili dell’esistenza, come a cercare “l’anima nella genesi della malattia”.
E’ vero, perché la vita è come il viaggio di Ulisse che attraverso mille peripezie è finalmente riuscito a ritornare a casa. La trasformazione interiore che la malattia è capace di produrre sull’individuo lo avvicina sempre di più, vita dopo vita, al momento del ricongiungimento con la sua vera natura, quella Divina. E il medico deve saper vedere questo cambiamento nel suo paziente e non aver paura di assecondarlo.